La risposta della pittura. Fare il pittore, ed in questo caso si tratta di una scelta che fin dai lontani esordi si rivelò subito definitiva, significa decidere di non avere e di non cercare d’avere certezze oltre alle proprie convinzioni, alle proprie intime fissazioni. La stessa scelta astratta-informale, o comunque la si voglia nominare, in parte forse dettata anche dalla passione per alcuni maestri, fu naturale: lì si rivelò più diretta ed autentica la comunicazione tra mano-pensiero-colore, tra l’io e la materia. Al di fuori della coscienza dell’io sensibile, del suo sentirsi nel tempo, il mondo esterno può al massimo esse- re riflesso, memoria, forse sponda al proprio gioco; di certo la realtà frammentata, sfuggente, spesso indecifrabile, ossessivamente e continuamente riscrivibile, si rivela impostura, sempre. (Per quanto essa si presenti sotto le molteplici e giustificatrici lusinghe dei “sistemi” Racconto/Storia, Sentimento/Autobiografia, Prodotto/Mercato). Cercarvi un appiglio o una conferma, significa in partenza rinunciare non solo ad individuare l’autenticità possibile dell’io che vive, ma anche rinunciare ai voli e ai sogni, insomma perdere il tempo, o per meglio dire, smarrire il senso dell’io nel tempo. La mania, nel senso platonico del termine, che s’impossessa dell’io e lo “entusiasma”, è l’antidoto alla tristezza del fondo oscuro che scorre dentro di noi. Laggiù, all’origine delle ramificazioni delle nostre fibre nervose e muscolari, riaffiorano le ombre e i riflessi del giardino “dove siamo stati fanciulli… Non è necessario mettersi in viaggio per rivederlo; bisogna scendere per ritrovarlo”*. L’ispirazione viene nell’attimo, presentissima e sottile, impressione imprevedibile e irrinunciabile che “sorpassa” la coscienza e la obbliga a mettersi all’opera. Così la causa del fare è una necessità, sempre, e la sostanza è la tecnica: il come disegna l’unico universo plausibile. Qui si ricomincia ogni volta dalla tela bianca (e si tratta di una scelta di schiavitù**, o di linguaggio se preferite), e la tecnica è l’unico metodo, in ogni circostanza ripresa in considerazione, proprio per vedere dove può ancora portare e quali visioni/immagini si formeranno inoltrandovisi il più possibile. Il risultato (finale) non è dunque un obiettivo predefinito. Ad un certo momento, nel flusso del lavoro, il pittore individua, sotto la pressione di un istinto pur carico di memorie, uno stato in cui gli pare che l’emozione abbia trovato sostanza… (Brenda Bacigalupo)
BARGONI
Giancarlo Bargoni a Marktoberdorf. Voragini di colore. Non stupisce che un pittore raffinato e appartato come Giancarlo Bargoni, genovese nato nel ‘36, sia forse più apprezzato all’estero che da noi. Infuocato, arroventato quasi di neri e di rossi, Bargoni nella sua pittura ben metallizzata travolge brani-ricordi di De Kooning e s’imparenta molto al piemontese Ruggeri, con cui ha anche esposto (una delle rare sue gemellanze). (Marco Vallora) Lo Specchio / La Stampa